giovedì 28 luglio 2016

Dove vivo

Mi guardo intorno... Alla mia destra ho tre libri uno sopra l'altro, stranamente tutti e tre con la copertina rossa, tre rossi diversi, quello nel mezzo molto acceso, come se mi invitasse ad abbandonare il resto e a leggerlo. So che il mio stato psicofisico non è quello giusto per titoli di tale portata, ma non sono mai stata una persona che ha detto di no a qualcosa di intenso, purché sensato. Non ho mai messo da parte film, libri, musica, foto, a patto che mi dessero emozioni forti; per quanto possa fare paura è l'unico modo per sopravvivere in un mondo in cui non si può più distinguere il bisogno dall'amore.
Il libro più scuro ha sulla copertina un edificio che dista venti minuti a piedi da casa mia, il che è abbastanza inquietante visto che la trama parla di un omicidio, e di un amore... Certo che parla anche di amore. L'amore perfetto è quello con un omicidio. Com'era quella storia del nascondere i sentimenti bene quanto un cavallo sotto una conchiglia? Ho battuto i miei stessi limiti e l'omicidio sta proprio lì, nell'incanalare le emozioni che non mi appartengono più in qualcosa di creativo, nel bloccare le lacrime prima che raggiungano la bocca assetata di un sentimento che deve morire.
Ma comunque è piuttosto figo leggere libri in-cre-di-bi-li ambientati in una città che un po' odio, ma di cui non posso più fare a meno. Il terzo libro, di un bordeaux un po' più morbido, è una biografia di Bowie, me l'ha lasciata Eugenia prima di tornare in Italia più di un anno fa, ancora non sono riuscita ad arrivare nemmeno a metà, però posso prendere la Victoria line e scendere a Brixton ed essere sicura che lui ha percorso proprio quelle strade. Ne ha viste questo povero libro, ancora prima che lo cominciassi a leggere, ancora prima di finire a casa mia, una casa che condividevo con una persona che credeva di amarmi, o che io credevo di amare, ma caso volle che avessimo solo un grande bisogno l'uno dell'altra.

Di fianco al perfetto trio rosso, c'è un libro grigiastro, giallognolo forse, ma con il nome dell'autore scritto in rosso sangue, sulla copertina c'è la foto di un letto con le lenzuola insanguinate, non ho idea di cosa cazzo sia, l'ho trovato per strada e mi dispiaceva lasciarlo lì, di notte ha piovuto e io l'ho guardato ringraziarmi dalla scrivania. Magari non lo leggerò mai, però annuserò le pagine che sanno di biblioteca e di vecchi difetti, quei piccoli dettagli che non vorremmo cambiassero nelle persone che amiamo, per niente al mondo, non importa quanto male ci facciano, quanto cozzino con il nostro stupido ego o quanto vadano contro le nostre abitudini e le cose in cui crediamo. Sono i dettagli a cui ci aggrappiamo per fare il ritratto perfetto incorniciato dalla nostra solitudine, e dalla codardia. 

In mezzo all'infinità di piantine e vasetti, c'è Jimmy, una pianta che mi avevano regalato Katerina ed Arianna, mesi e mesi fa, quando ancora vivevo nel disperato bisogno e nell'ideale di amore irraggiungibile. Quando mi sono trasferita in questa casa, ho dato Jimmy a Jack, ancora non aveva nome, ma Jack ha il vizio di attribuire il nome a tutto, sembra che gli serva per ristabilire l'ordine nel suo processo neurale, ma magari è solo per cazzeggiare e io sto nuovamente iper-analizzando i comportamenti umani. Mi piace come Jack passa dall'essere un totale idiota a quello che si può chiamare un uomo di certa portata e proprio quest'ultima parte conferma la sua esistenza in quello che sono i fiori di questa piantina sgangherata. Come sia riuscito a farla fiorire, non lo so, ma ci sono due categorie di persone in grado di far fiorire un alberello senza speranza, i romantici e gli psicopatici omicidi. Se guardo Jimmy di fianco a "London Fields", quella storia sull'amore e sull'omicidio, mi pento di aver perso la chiave di camera mia. Carino come ha messo l'etichetta sul vasetto: "My name is Jimmy". Tanto per non lasciare dubbi.
Mi ha ispirato a scrivere un bigliettino sul piccolo vaso che ho lasciato in camera di Ale, c'è scritto "Please don't kill me", e contiene una kalanchoe, o comunque si scriva. Ad Ale non frega un cazzo di "Please don't kill me", infatti la piantina non ha nome, ma è ancora viva e c'è speranza che arrivi all'inverno. Ha cambiato locazione già due volte, però adesso è sul davanzale, a prendere quel poco di sole che ci possiamo permettere a Londra, devo dire che è anche l'unico punto luce naturale nell'intera camera, perché Alessio è una specie di creatura notturna con una sequenza di cose da fare in un certo modo, una sequenza che per me non ha alcun senso, ma che reputo piuttosto affascinante nella sua follia. Forse dovrei chiamare Please Don't Kill me con il nome di Dracula, o Psycho.
Effettivamente... non c'è una persona normale in questa casa, e se mettessi una pianta in camera di Dan, si trasformerebbe e prenderebbe sopravvento su tutto, o finirebbe un po' come in "Mad About You", degli Hooverphonic. Fa ridere associare "hoover" a Dan... non mi perdo in spiegazioni.

E infine, ci sono foto, foto, foto, foto su foto, foto. Io amo le foto, amo farle, amo farmi fotografare quando sono dell'umore giusto (un po' sconveniente per una modella). Sull'armadio c'è una piccola serie con Arianna, che mi sembra di arrivare a odiare talvolta, ma che in realtà amo profondamente, e mi rendo conto che il problema è solo nella mia testa. Il muro vicino al letto ha foto di gambe, schiene, mani, dettagli, quei dettagli che compongono storie mai narrate fino all'arrivo di un fruitore, perché quello che vedo io non ha alcuna importanza nel momento in cui decido di rendere un lavoro pubblico. Tra quei rettangoli contenenti quello che per me è un pezzo fondamentale del puzzle sentimentale e creativo, c'è Daria. Anche se non si vede nel viso, si capisce che è lei, senza un apparente motivo, o forse è chiaro solo per me, ma non perché ho scattato la foto io, ma perché la conosco e so esattamente quando e perché fa un passo indietro, non sempre è causa mia, ma il mio carattere ultimamente schivo non rende l'avanzata più facile. E questa città, questi amori e questi omicidi che si confondono, non aiutano me a fare chiarezza.

Ma va bene così, o andrà bene con un po' di impegno, con un po' di passione, con desiderio. Non mi rimane che salire le scale fino a camera di Ale una volta a settimana, portare avanti una collaborazione che non sarebbe nata se io fossi rimasta nel mio bisogno della persona sbagliata, controllare che Jimmy non uccida Please Don't Kill Me e che al Conte Dracula non venga la brillante idea di perdersi in una delle sue mille sequenze, perché il suo cervello non funziona a compartimenti stagni, ma è un po' come questo tempo inglese imprevedibile, di cui a volte mi lamento, ma poi capisco che altrimenti sarebbe noioso. Non so, sembra tutto giusto, come il caffè caldo in una mattina fredda, senza fretta e con poco zucchero.