lunedì 25 aprile 2016

Berlino

Due giorni fa percorrevo la Kottbusser Damm e mi sentivo completa, ciò che ho vissuto o ciò che mi aspettava non aveva importanza e ho avuto questo senso di euforia leggera, quasi impercettibile, eppure reale... Molto più reale di tutto quello che mi sta succedendo da un mese a questa parte. Mi fondevo con la gente e niente aveva importanza, solo la musica nelle orecchie, il sole, il momento che mi sono permessa di vivere al 100%. Era tanto che non mi sentivo così in una città. Era tanto che non mi sentivo a casa in una città nuova.

È stato un viaggio folle... Mi sembra di essere qui da un mese, e invece è passata solo una settimana, domani torno a Londra, un posto che percepivo come casa, ma che adesso sembra così distante, come un sogno che si lascia ricordare solo a tratti al risveglio. C'è una sola cosa palpabile ad attendermi, una sola clavicola che voglio sfiorare e una serie di costole che voglio contare per assicurarmi che siano tutte al loro posto a formare una gabbia toracica in cui rimbomba un cuore irregolare che non mi appartiene, che non voglio che mi appartenga, che voglio solo ascoltare finché si rivelerà la cosa naturale da fare. C'è un intreccio di piccoli fili ricchi di rame che si arricciano tra le mie dita, ne ho un ricordo molto vivo, è come una lesione neurologica. Mi attende questa trama fitta, uniforme ed elastica al tatto, ricca ed antica alla vista. Ci sono pochi odori che mi mancano di Londra... quello della sua pelle, dei miei libri e del sidro in quel pub con i tavoli appiccicaticci.

Per il resto vorrei rimanere qui e continuare a comportarmi come se i problemi non esistessero, modellare i miei piccoli drammi giornalieri, assorbire la presenza delle persone a me care, non smettere mai di creare, non finire mai i soldi. Vorrei abbracciare Arianna e sprofondare nell'odore dell'olio di cocco, perché quando si integra con l'essenza del suo corpo la realtà si annulla e niente fa più paura, tutto scompare e la mia mente fluttua in un universo parallelo in cui sono sul treno per Tempelhof e vedo sfrecciare davanti a me Berlino a rallentatore.
Vorrei sdraiarmi ancora una volta sulla pista nera sotto il cielo azzurro, le nuvole dense, sotto vento e al freddo; accanto a un corpo caldo, ma distante, con i miei piedi protesi verso l'alto, a camminare nel vuoto, verso un futuro incerto ed eccitante. Mi piace come questa città abbia plasmato i miei amici più cari, come gli abbia spinti a evolversi partendo dai desideri sepolti da secoli di ricerche sbagliate. Mi piace come tutte queste strade dai nomi per me imronunciabili abbiano riempito i cuori delle persone che non sento mai se non sotto forma di un un'eco nell'anticamera del mio cervello. Sapevo che venire qui sarebbe stato uno scambio equo di opinioni, esperienze, di amore incondizionato dettato dalla stima e dalla consapevolezza, da un ragionamento setacciato e ridotto ai minimi termini, reso puro attraverso notti di solitudine in una città che di notte ribolle fino ad evaporare in una mattina pigra e piena di aspettative.

Sono follemente innamorata dell'energia che c'è a Berlino e so che non l'avrei percepita così intensamente se fossi venuta qui un anno fa. Non avrei camminato lungo queste strade con la sicurezza di girare nel vicolo sbagliato con tutto l'orgoglio di cui sono capace senza interpellare l'ego. Non avrei potuto fare una telefonata con un'ora di fuso orario e dire a qualcuno che sono sopraffatta dalle emozioni, dall'arte, dal vento. Non avrei avuto qualcuno che mi avrebbe ascoltato con una preoccupazione disarmante, perché probabilmente vera, profonda, sagace. Non avrei avuto qualcuno a dettarmi il termine perfetto, senza indugiare. Non avrei avuto il coraggio di parlare così apertamente alle persone che amo e che mi permettono di innamorarmi ogni mattina, o la notte fonda e compatta.
Non sarei stata così... e le città grandi non perdonano le persone prigioniere di sé stesse. Adesso sono pronta, libera, e ho una paura irrefrenabile, ma riesco a rifugiarmi negli angolini polverosi della mia anima, dove i demoni non possono più alloggiare, perché non hanno di che nutrirsi.

E dopo questa corsa al galoppo attraverso una settimana surreale e sonante mi fermo qui, alla tua scrivania, dove appoggio le dita raccogliendo un po' del tuo temperamento fluido. Guardo fuori dalla finestra e vedo una via che spesso ho letto riflessa nei tuoi occhi attraverso i tuoi racconti. Mi sdraio sul letto che mi ricorda molto la distanza che c'è tra una città Kazaka e l'altra, una steppa in cui non vi è rifugio, in cui si può solo protendersi l'una verso l'altra fino ad incrociarsi e poi proseguire nella direzione opposta, separatamente.
A causa tua, respirare è diventato come riempire i polmoni di un fumo coagulato da quella distanza incolmabile, e fa male, ogni boccata si congela in un movimento incerto. Eppure... una superficie solida è più facile da percorrere. Come le strade di Berlino.


martedì 5 aprile 2016

Ancora qui

"Sei qui, no?"
Cosa intende? Che sono arrivata fino a qui? Che sono qui con lui? Non lo so, ma gli ho creduto, di nuovo. 

Ce ne stiamo sul divano e fuori non piove, stranamente, nemmeno c'è il sole, tutto quanto ha la natura della sua affermazione. È così convinto nel dirmi che sono qui, o lì, da qualche parte, che per un attimo vacillo, deve avere per forza ragione... ma la sua personalità è così morbida e aperta che riesco a fare delle sue parole un po' ciò di cui ho bisogno.
Sì, sono qui, sono ancora qui e lo sarò fino alla mia morte. Penso ai concerti dei gruppi che amo, di quando e quanto ho pianto guardando il palco, pensando "sono qui, sono ancora qui, no?"
Ma lui mi riporta alla stanza ora un po' più cupa, cantandomi nel viso a squarciagola. "Sei di fuori", penso, "e sei qui, pure tu". Siamo qui.

Il motivo per cui tutta questa faccenda dislocata nasce è la mia insicurezza in questa vita, ora più che mai, sia qui che lì... da qualche parte. Il posto più pericolo sulla terra è il mio cervello, quindi ho provato a cercare rifugio tra le braccia di qualcuno che non mi conosce, ma che sa esattamente cosa dire, non per me, ma perché a lui probabilmente ha aiutato. E il punto è proprio questo, essere così aperti, e amare sé stessi, amarsi per quello che si è a tal punto da amare il prossimo proprio così, per quello che ha da offrirci.
La stima che provo di fronte a queste due parole, "sei qui", dette da qualcuno che non ha idea di dove cazzo andare, di cosa succederà domani, di dove questo divano ci farà approdare, è così immensa e pura da ispirarmi, negli ambiti più impensabili. Ma come perché? Perché i dubbi e le paure non hanno fatto precludere niente a questa persona, non l'hanno resa arida e vuota, perché quest'uomo ha continuato a riempire più la sua anima che l'ego, così quando tutte le luci si sono spente ha comunque continuato ad andare avanti.

E il motivo per cui mi sembra di conoscerlo da una vita è proprio questo calore che viene dall'interno, che non ha niente a che vedere con ciò che fa o che pensa, ma è la passione in sé, e lui ne è padrone, non il contrario, per questo non si spegne mai. L'affinità che percepisco è dettata dal reciproco desiderio di essere qui, ora. Vivere bene il momento vuol dire costruire bene l'avvenire, senza sforzo... Vuol dire conoscersi bene. E il mondo può fare paura quanto ti pare, non importa, perché tu sei qui, ora.


E se chiudo gli occhi e ascolto il suo cuore irregolare, impulsivo, ma sempre morbido, ovattato, e immagino che questo divano su cui siamo sia una barca, riesco a lasciare il vento fuori per qualche istante e a sentire chiaramente il mio respiro che riempie la sua gabbia toracica e ricordo che anche io sono un essere passionale e sono qui, no?





lunedì 4 aprile 2016

Via da qui

Ho aspettato questo momento così a lungo, fremevo, volevo scrivere qui, mi mancava il mio rifugio virtuale, questo luogo in cui non ci sono regole, in cui i nomadi approdano e i legami si creano stabili, elastici. Questo giardino segreto che al posto degli scoiattoli e delle lepri ha gli accenti giusti, i verbi corretti, le parole scelte con cura ma senza essere troppo ricercate.
Ecco cosa bramavo... ma ora che sono qui, sono persa. 

Salto da una virgola all'altra, espiro e muoio, inspiro e rinasco, e oggi non basta niente per sentirmi abbastanza forte. Questa sera vorrei sentirmi viva, vorrei affidarmi alle luci della città, a cose concrete, e non agli esseri umani così effimeri, insicuri. Vorrei provare a essere una marea, qualcosa che torna, ma a cui non importa. Mi limito invece a queste ondate di passione e amore che si interseca col fumo di una sigaretta fumata troppo in fretta. Sono così stanca, così stanca che non ho le forze di arrendermi.

Non riesco più a rifugiarmi nell'angolo più oscuro del mio cuore, non trovo la chiave, non credo di averla cercata. Sarebbe bello rannicchiarsi sotto uno di quei alberi dietro la casa della nonna, con l'odore forte di muschio e il desiderio ancora impalpabile, immaturo. Quante vite sono scivolate dalle mie mani da allora, quanti involucri ho cambiato, quanto potere ho acquisito? Non lo so... e stanotte non ricordo l'odore di nessuno di cui mi importi, perché la mia casa sono io, ma la mia pelle sembra distante, dislocata, devo averla lasciata nel letto sbagliato, accanto a un sospiro creato con troppa facilità, di fronte a una fiducia troppo sfrontata. Avrei voluto oscillare, dubitare, camminare ancora un po' sul bordo del grattacielo di una città mai visitata. 

Sono diventata un essere di luce, non posso più nascondermi nel buio, ho perso il contatto con le mie radici, ma non so volare. Mi trovo qui, di nuovo, sul pavimento polveroso di uno chalet deserto, la mia pelle è sudaticcia e i pulviscoli si fondono con l'odore del caffè freddo, si attaccano al mio collo, alle clavicole, sotto le ascelle. Adoro il profumo delle foglie secche riprodotto dalla mia mente, perché è Primavera, ma il mio cuore pompa un sangue impuro e pieno d'Autunno, il mio corpo è il letto di un fiume in piena a ridosso dell'Inverno. Non sfocia mai... sento solo questa disperazione che cresce, si innalza fino alla gola e blocca i pensieri sulla punta della lingua. Stanotte sono arsenica e niente può fermare il processo.

Devo tenere duro, devo incamminarmi verso lo specchio d'acqua al centro del deserto e vedere cosa riflette il mio volto. Non potrò trovare me stessa attraverso niente e nessuno, nemmeno attraverso la mia arte, perché io devo divenire arte, devo nuovamente toccare il fondo mettendo le paure da parte, non posso più incanalare i miei dubbi e i pensieri nervosi in visioni erotiche e retoriche, devo inglobare me stessa, implodere e lasciar colare la mia essenza su un fondo scuro, senza riflessi, per vedere cosa rimane davvero, cosa può rinascere, come posso arrendermi all'immensità di una solitudine ponderata, consapevole e totale.