martedì 19 agosto 2014

L'importanza

È la prima volta che non ho sonno alle 4 del mattino, dopo tanto tempo. Ho cercato di rigare dritto, di andare a letto a un'ora decente, di svegliarmi a un'ora decente, di bere in quantità decenti, di mangiare decentemente, di essere una persona decente. Per me. E sto particolarmente bene, a parte gli attacchi di malinconia, tipo stanotte. Stamattina.
Un momento in cui i miei amici stanno già dormendo, le persone che ho poche ore fa conosciuto tornano nell'ignoto, gli odori si dissolvono e rimangono solo dei colori sbiaditi su una camicia.


E un rullino che ho fatto fatica ad immaginare in bianco e nero. Aspettavo la luce blu, o quella gialla, o quella rossa e a ogni scatto esclamavo dentro me "ah già". E se qualcosa è andato storto non è poi così importante, in realtà. Ci sono cose più importanti della fotografia, per esempio osservare una situazione e racchiuderla in un'inquadratura, ricordarla per sempre, semplicemente, senza dipendere dai tecnicismi, dai consigli, dalla regole, dall'opinione pubblica. Senza sottoporsi a valanghe di insensibilità. 

A volte le mie cose sono così preziose, così tanto preziose da fare male... che alzo la macchina fotografica, guardo nel mirino... e la riabbasso. Lasciamola lì, intatta, mia, al sicuro dagli avidi delle immagini, mille e mille immagini al giorno, una uguale all'altra; le cose belle che si confondono con la merda; e l'ignoranza, la mancanza di cultura, della capacità di osservazione raffinata. Queste cose mi fanno stare male, mi si comprime la gabbia toracica e i sospiri non bastano mai. L'esasperazione. La mia incapacità, l'arresa all'educazione, alla presunzione di poter trasmettere qualcosa a qualcuno. 

Quanti sguardi incrociamo? Quante poche cose alla fine rimangono? Chi si ricorda realmente di noi? E cosa pensa chi crede di averci conosciuto? Chi ci definisce speciali ma ha forse solo alzato un po' il gomito. Importa davvero? Ho sempre cercato di convincermi che tutto questo non è fondamentale, che è importante godersi il momento, per il momento in sé e per il ricordo che imprime. Ma a volte... quando niente rimane, in concreto... quando le persone non richiamano, si dimenticano, hanno da fare, quando alle persone in sostanza non interessa, non importa, divento triste. Non importa. Infondo. Non importa più nemmeno a me.

Ed è possibile che uno sconosciuto colga i punti fondamentali? Che tocchi i tasti che nessuno negli anni ha mai visto? Forse a volte dovremmo chiudere gli occhi e abbracciarci, possibilmente da sbronzi, da fatti, da incoscienti, da impossibilitati e dementi, per reprimere le pulsioni, per uccidere quello che sopprime la parte più nobile del legame tra due persone. Forse dovremmo contemplare il cielo e vaneggiare, avere caldo, pensare al vento, concentrarci sulle trame.
Non voglio che qualcuno si prenda cura di me, voglio solo che le persone che stimo mi dicano che sto facendo qualcosa di buono, che si preoccupino per la mia arte... sarebbe come se si stessero interessando a me come persona, nel profondo, ma senza gli effetti collaterali.
Un artista vero, quello che fa, che macina, che va avanti come un treno senza farneticare troppo, senza fronzoli, sì... Quando uno di quelli indica una mia creazione e dice che c'è qualcosa, si sofferma, guarda la mia opera, guarda me, mi guarda negli occhi e dice "sei brava", arriva per me qualche notte insonne, perché mi agito, ho l'ansia, ho voglia di fare di più, so che posso fare di più. La stima è un'arma potente. E questa notte è una di quelle insonni, perché chi ha la sensibilità per la bellezza, quella diversa, quella non da tutti, ha messo una tacca sul mio percorso, adesso posso andare avanti e la responsabilità è colossale, il peso è incredibile e mi sento un po' stanca. È una stanchezza diversa, per la prima volta nella mia vita ho talmente chiaro ciò che devo fare e dove devo andare che a volte faccio fatica a vedere, non sono abituata a tutta questa luce. Paura. Ma tengo duro.

Questo importa. Le persone vanno e vengono, dicono cose, gesticolano, indicano, si innamorano, si odiano, si stupiscono, ma quello che creano rimane.





domenica 10 agosto 2014

Dalle montagne al deserto e poi chissà

Avevo scritto una lunga introduzione sulle mie ultime conoscenze, sugli incontri ravvicinati con l'altro sesso. Ma ho pensato che fossero per me esperienze talmente inutili e gli uomini che ho conosciuto talmente banali e assolutamente non all'altezza di quello che cerco, che ho cancellato tutto per parlare di una cosa sola, l'unica cosa che conta: il deserto.

In questo momento ho comunque bisogno di altro, forse è anche per questo che non noto gli uomini di un certo livello che mi circondano. Sono totalmente assorbita dal deserto. Non so spiegarlo come vorrei, ma mi ricordo di David che scrisse la canzone su Amon Ra e mi parlò del deserto e dell'immensità che provi trovandoti lì nel mezzo, del sole che brucia e del mega filmino che ha ispirato uno dei pezzi più belli dei Chaos Core. Pochi giorni fa ho visto Tracks, tratto dalla storia vera di Robyn Davidson, la donna che ha attraversato il deserto australiano percorrendo 1700km con quattro cammelli e un cane. Non è la prima a fare qualcosa di folle, io stessa ho intervistato Christoph Rehage che ha attraversato la Cina a piedi, anche se non sentivo ancora il bisogno di fare qualcosa di simile. Camminare da sola, per non lasciarmi distrarre dal mio compagno di viaggio come diceva Chris, da una parte all'altra di un paese non è esattamente quello che cerco io per la mia maturità interiore, quello che bolle adesso nelle mie vene è la necessità di trovarmi veramente nel nulla, dove le regole degli umani non hanno valore. Da un anno sto lavorando alla mia separazione mentale dai genitori, alla lotta dei miei geni contro le mie scelte e sento sempre che manca un tassello per completare la coscienza, la consapevolezza di essere una donna unica, con un mondo irripetibile dentro.
Mi fa un'incredibile paura attraversare un deserto, non ne so molto e non credo di avere la resistenza sviluppata per farlo. Non so veramente da dove cominciare. So che voglio partire dal Sud del mio paese (dalla mia città, Almaty), il Kazakhstan, e attraversare la steppa fino alla città in cui è morta mia nonna, Taldykorgan. Potrebbe essere un primo tratto umanamente affrontabile, per me; sono 263 chilometri soltanto, ma potrebbe essere il mio primo successo. Per il momento aspetto ottobre, per tornare nella Valle Dei Castelli e fare delle foto più coscienziose, per toccare meglio la terra, per ascoltare gli sciacalli e imparare a non farmi fiutare stando sotto vento. Poi comincerò a documentarmi su tutto quello di cui ho bisogno a livello fisico e mentale. Ci vorranno anni, per me, ma forse un cammello (che è anche il simbolo del mio meraviglioso paese) sarà sufficiente. 

Sono anche molto presa dalla fotografia in questo momento, ho per la prima volta fiducia in me e ho in testa dei progetti concreti che hanno la possibilità di fiorire nonostante io non vi possa investire quanto vorrei, a livello più economico che temporale. Non posso dire molto perché... come cantava Joshua Homme "whatever you do don't tell anyone". Lo sanno in pochissimi ora e forse questa volta nemmeno mio papà capisce l'importanza di quello che sto per fare... o forse era solo molto stanco mentre mi ascoltava, o forse non mi sono saputa spiegare io. Il fallimento non è contemplato, solo la crescita. Ho le idee chiare sulle tappe principali di quello che andrò a realizzare, ma se devo essere sincera non ho chiara una minchia di cosa succederà quando sarò lì - un po' come quando mi troverò nella steppa con i miei animali-. So che devo farmi prestare una macchina analogica migliore, di un'ottica 35mm, che devo munirmi di tanti rullini in bianco e nero (che non ho mai usato finora), di pazienza e di amore... ma non avendo da sprecare energie in relazioni che non funzionano, posso far fluire la creatività liberamente, fino a quando non sarà percepita da un uomo forte che non mi vorrà mai limitare, che non mi dovrà sottostare e con cui semplicemente creerò qualcosa di talmente potente da far tremare le montagne. Ma prima di tutto io. La mia arte. Il resto arriva.

A settembre andrò di nuovo a Londra, una città che ho odiato, ma che mi ha insegnato tanto, che mi ha fatto vedere che da sola ce la posso fare, che gli amici vanno e vengono proprio come le maree e che niente è spaventoso quanto sembra... sono solo ombre al tramonto, lunghe, deformi e poco chiare, ma andando verso l'orizzonte si sciolgono come piccoli nodi con un po' d'olio. Vado a godermi un po' di aria inglese con Daria, la mia russa pazza e incredibile e un po' penso di lavorare. Allo stesso tempo sento che non mi posso più permettere di viaggiare solo per posare o per visitare i posti senza cognizione di causa, devo fare foto, devo rendere giustizia a quello che vedo, o addirittura renderlo più bello. È qualcosa di viscerale (come piace dire ai radical chic), non lo controllo, so che devo, come quando si ha fame... Non so. Magari potrei fare un reportage sulla mia bionda preferita, è una donna bellissima, ma il viaggio rende i visi più vissuti, più scavati, più maturi, tira fuori le capacità espressive assopite. 
E poi subito dopo andrò ad Alesund, Norvegia, dove adesso sta lavorando per lo stesso fotografo che mi ha contattato anche Valentina Feula, una modella italiana che ho intervistato tempo fa e che ha da insegnare molto a livello professionale. Non la conosco molto, ha una sensibilità tutta sua che attraverso le foto non fluisce liberamente, si incastra in una sensualità proibita quasi. La stimo molto, per me andare in Norvegia e posare per qualcuno che ha prima fotografato lei è molto bello e mi fa sentire proprio bene, non solo perché Valentina è bravissima, ma perché si merita quello che si è duramente guadagnata e così pure io. Non credo sia giusto limitare l'elogio dei propri meriti solo perché qualcuno è invidioso, o non alza un dito non solo per raggiungere un obiettivo, ma addirittura per stilarlo! 
Non posso non fare foto in Norvegia, ho visto degli snapshot di Vale e quell'isola sembra assurda, dire cartolina è riduttivo! E poi tutta quell'acqua che si fonde con la terra in modo così peculiare, pregnante, ma anche assolutamente armonioso. Io sono fissata con l'acqua nelle foto. Devo fare qualcosa di degno delle mie passioni e spero che la mia Zenit faccia lo sforzo di resistere ancora un po'.

Non sono fortunata. Odio quando mi dicono di riconoscere il fatto di essere fortunata. Non è fortuna. Sono io che ho fatto un percorso, mi sono fatta letteralmente il culo e non mi sono mai arresa, ho riconosciuto i miei errori e mi sono fatta valere, non ho mai permesso alla mia arte di assopirsi troppo a lungo, ho sempre macinato e sono finalmente arrivata al punto da sapere esattamente cosa voglio dalle persone e da me stessa. E non ho più paura di portare avanti più cose contemporaneamente, non posso fare a meno di tutte le cose che so fare, sono venute da me da subito e ci sono sempre state, non le posso abbandonare, cercherò di reggere questa mole di creatività, da qualche parte arriverò. Quindi fortuna un cazzo. Anche il fatto di essere bella è un impegno, è prendersi cura di me, è curare il mio fisico, fare yoga, amare la mia pelle, lasciar fluire le energie e non incupirsi troppo per raggrinzire come una vecchia zitella. Perché quando si hanno troppi pensieri negativi il corpo reagisce immediatamente, se gli esseri umani lo realizzassero nella loro testa, per lo meno la maggior parte nel mondo occidentale, diventerebbero subito più belli e più sani. È l'impegno di preservare la mia sessualità, di non sprecare quella carica col primo che passa. Sono mente e corpo costantemente sotto il giusto controllo, no fortuna! Io non mi sfondo di mangiare per poi piangere di fronte alle foto nelle riviste, né critico chi è più fica di me standomene col culo ben piantato nella poltrona.
L'unica fortuna che in tutto questo io posso avere è che i miei genitori sono belli e hanno preso in considerazione di unire i loro geni in modo coscienzioso.

Mi sento bella e quando lo percepisco senza nuvole nella mia testa da fuori si vede. Quando la donna prende coscienza di quello che è non può che crederci, sentirlo, prendersene cura e sarà semplicemente quello che è: bella. Mi sento bella al punto da non aver paura di attraversare la steppa, senza potermi lavare e probabilmente bruciandomi la pelle. È il percorso necessario anche per questo, per riconoscere che certe cose, come la bellezza, non si distruggono. Attraverserò il deserto e l'uomo misero che cerca di sminuire quelle come me per accrescere il suo inutile ego cadrà, definitivamente.