mercoledì 5 febbraio 2014

Non è un problema

Non piango molto ultimamente, quasi per niente e chi mi conosce bene, molto bene, in questo momento probabilmente sta sorridendo, così, per ironia, o perché mi vuole bene e ci sperava.

Mi prendo i miei momenti durante i film in cui succede qualcosa che vorrei succedesse anche a me, quando sento di non aver colmato qualche vuoto. Ma poi sento gli occhi di qualcuno addosso e smetto, smetto subito. Prima non sapevo ridere in pubblico, adesso non so piangere. Forse è un bene. 
L'altro giorno ero con mia madre e c'era una vecchia attrice russa a cantare in questa specie di documentario assemblato malissimo, ma il montaggio mi permetteva di ascoltare lunghe parti di cantato, una sorta di opera, non saprei definirla. Non so mai definire un cazzo se non le mie sensazioni. Oggi ho suonato il basso canticchiando e non so nemmeno dire le note che ho usato, le corde, e non me ne frega niente, lascio la musica fluire attraverso di me in maniera totalmente diversa. Assume tutto una struttura nel momento del bisogno. E così stavo ad ascoltare questa cantante di fronte a mia madre e questa alla fine mi ha abbracciato perché stavo piangendo, come se io mi fossi persa, come se avessi bisogno di conforto e ho capito che la donna che mi conosce da 25 anni non sa ancora perché ogni tanto piango. 

È solo l'ennesimo modo di esprimersi.
Esistono i sospiri, la punteggiatura e le lacrime. Cerco di non sbagliare, ma le persone sono così diverse e non posso sempre scegliere il canale tramite cui lasciar fuggire le emozioni. Alcune valvole cedono e io mi lascio andare.


Ho ricevuto un'email di mio padre, in risposta a un mio discorso tosto e sincero. Una lettera che ho avuto il terrore di spedire, avendo paura che si potesse offendere, o che potesse non capire fino in fondo la natura del mio bisogno di esprimere un disagio. Folle, folle, folle di terrore perché mio padre potesse rifiutarmi. Che stupida che sono stata, ma anche... coraggiosa. Non l'ho mai fatto prima, non così. Adesso so usare le parole, senza necessariamente dosarle, basta sceglierle bene.

Ha scritto cose talmente belle e aperte che vorrei piangere a lungo, solo perché non ci sta, tutto questo non sta più nella pelle, ribolle nelle vene, si surriscalda da qualche parte nei punti critici. 

Riporto qui la traduzione dell'ultima parte della sua risposta:
«Rispetto molto tutto quello che fai e quello verso cui ti protendi, e non solo perché in noi scorre lo stesso sangue, ma perché vedo in te una personalità creativa e la tua anima stracolma di amore!»

Il fatto che qualcuno creda in me in base a ciò che ho fatto e ciò per cui lotto e non per via di un qualche legame forte, è quello in cui ho sperato tutta la vita, è ciò che mi ha attanagliato per giorni improduttivi e notti insonni. Una persona che mi amasse incondizionatamente, ma che avesse il coraggio e la sensibilità di dirmi semplicemente quello che pensa di me. Perché quando faccio cazzate mio padre è pronto ad aiutarmi ad aprire gli occhi. 


Nella mia famiglia siamo strani. Mio padre mi è vicino perché mi stima, proviene da un'educazione che penso l'abbia segnato moltissimo e ne sta facendo i conti solo adesso. Mia madre spesso cerca di starmi vicina solo perché sono sua figlia e ancora mi domando cosa le piaccia di me, perché tutto quello che non proviene da lei, che non è come lei, immediatamente stona ai suoi occhi. Ma ho sbottato pure con lei, urlandole che sono una persona prima di tutto, prima di essere sua figlia e che per una volta vorrei che mi vedesse come tale, aiuterebbe entrambe. 
Ma forse adesso è il mio turno di essere paziente, perché so chi sono ed è solo questione di tempo perché riesca a farlo capire a tutte le persone che amo. Perché menarmela quando posso abbracciare mia madre, annusare i suoi capelli e sentire un po' di bene che cresce anche intorno a lei. Se basta veramente così poco per tirarla su, perché innalzare i muri? Perché non aprirsi? Non necessariamente a parole, ma semplicemente standosene lì a fissarla mentre pensa, invece che impuntarsi e convincersi che non capirà mai. Ha già capito, e forse sarebbe successo senza il bisogno di mostrarle delle prove concrete.

Non lo so più. La mia piccola famiglia sgangherata. Mia mamma che ce la sta mettendo tutta e avermi accanto non le basta. Mio padre dall'altra parte del mondo e le infinite cose che non sa di me. Ma infondo, non conosco i miei genitori nemmeno io e se la smettessi di inculcare loro il mio modo di essere e le mie scelte, potrei imparare qualcosa di nuovo proprio da loro, lasciando semplicemente correre le cose, osservandoli e immedesimandomi un po' di più in quelle teste matte. Li amo così tanto e hanno fatto del loro meglio, non è il momento di ripulirsi di tutto e lasciare dentro di me le cose belle che mi hanno trasmesso? Senza rimpianti, senza rimuginare, cercando me stessa nelle cose che mi appassionano e non attraverso il male che mi è stato rovesciato addosso negli anni. È stato, ma non significa che sia ancora lì, è un riverbero, non è tangibile e non intacca la mia intelligenza.

Sono salva.

Eppure, anche adesso, riesco a piangere solo a sprazzi. Sento questo bisogno come una cosa pura, eppure non riesco a sbrigliare questo gomitolo di emozioni che si accavallano. Ci vorrebbe una giornata tardo primaverile, con il sole e una pioggia forte a rimbalzare sull'asfalto. E la mia testa fradicia fin dentro al cranio, da non riuscire più a pensare.


Intanto oggi un uomo ha detto quello che un uomo dovrebbe sempre dire: "Non è un problema". Suona conciso, rassicurante e coscienzioso. È una bella notizia. In uno dei miei film preferiti una vecchia signora sorride e con voce rauca e calorosa pronuncia "stupidino, sono cose di cui non si parla, ma di cui si tace... e si sospira".


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