lunedì 11 novembre 2013

L'alba

È stata una notte strana.
È tutto cominciato in un cafe un po' europeo e io bevevo un caffè molto lungo, lui mi guardava negli occhi, capiva quando non doveva parlare, ma il mio umore continuava a essere a terra.
Poi sono passata al tè e ho continuato a guardare le sue parole come una serie di carte che si rovesciavano sul tavolo. Lui mi ascoltava solo perché è innamorato, forse quello che raccontavo però non era interessante. O forse lo sottovaluto. O forse il suo sguardo a volte mi infastidisce.

Siamo andati a casa sua e sono scoppiata a piangere, dopo tutti questi giorni che ho passato a crogiolarmi nelle mie offese e nelle cose non dette alla mia famiglia, sono crollata e non mi importava più molto. Mi ha abbracciato e ha detto di non preoccuparmi. Non so perché suoni così patetico raccontarlo, ma in realtà è stato un momento molto pulito, molto chiaro ed esplicativo. 
Poi è arrivato suo fratello, poi è arrivata mia sorella e a me importava solo di lei, solo averla vicina. Mi guardava con i suoi occhi enormi e le cose intorno si sgretolavano. Non mi era mai successo di avere accanto una persona con cui volessi fare tutto, con cui potessi andare in capo al mondo. Io credo di non avere mai avuto un complice nella mia vita. Poi è arrivata lei e adesso ci teniamo per mano quando lasciamo una casa in cui ormai abbiamo passato troppo tempo.

Siamo montate su un taxi e ce ne siamo andate all'angolo di una strada e abbiamo incontrato un uomo strano. L'abbiamo sempre visto su un palco, sempre perfetto e sempre imponente, e invece se ne stava davanti a noi in un bar, seduto a bere del whiskey, a guardarci da sopra le sue occhiaie tipiche da musicista. Abbiamo parlato per tre ore, abbiamo bevuto caffè, io ho fumato e fuori cominciava a disegnarsi il mondo. Era come se le persone e i mezzi di trasporto uscissero da dei portali spazio-temporali in mezzo alla strada. Noi eravamo lì, da soli e intanto qualcuno cominciava ad entrare per fare colazione. Io stavo dicendo che sembrava di essere nella fase finale del racconto di Stephen King, "I Langolieri" ha detto lui tranquillamente e mi ha guardato negli occhi.

Poi ci siamo spostati nella scuola di ballo in cui mia sorella prima insegnava a ballare ai bambini. Doveva dei soldi alla proprietaria, ma questa non si è mai presentata e noi ci siamo appropriati della sala e ci siamo messi a fare delle cose totalmente sconnesse, un po' tra noi, un po' per conto proprio. Erano le 9 di mattina, avevo sonno ed ero parte di qualcosa.

Abbiamo attraversato un pezzo di città a piedi, siamo stati in taxi e in un istante la sua iride è stata attraversata dai raggi di un sole velato, pigro; sembrava di essere in un sogno, ormai. Per un attimo, ancora al bar, ho avuto la sensazione di piacergli... ma quando i sensi più antichi si atrofizzano si finisce per non pensare a certe cose. O forse è che piace a mia sorella e lei vale più di qualsiasi uomo sulla terra.
Ma non posso impedire ai miei pensieri di fluire, giusto? Sono miei e ne decido io la sequenza, e posso metterli per iscritto, posso condividerli, posso plasmare il mio racconto.
Credo che l'incantesimo non si sia rotto, semplicemente si è diluito con la luce del sole, proprio come lo zucchero che stavo mettendo nell'ennesima tazza di tè. Mi dispiaceva. Un trio che fino a qualche ora fa era infinito, solido, unico, adesso era composto da tre persone che potevano benissimo essere in tre continenti diversi e non sapere dell'esistenza l'una dell'altra.

Bisogna andare via prima che sorga il sole, bisogna scappare, bisogna rifugiarsi in una casa e mettere la testa sotto le coperte finché si è in tempo! Oppure bisogna concentrarsi sullo sguardo del proprio interlocutore ed evitare di distrarsi con ciò che vede la coda dell'occhio. 

Quando si è in tre la magia dura solo finché è notte, perché la mattina... se si rimane a guardare qualcuno negli occhi troppo a lungo, si rischia di ferire chi si ama.



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