martedì 5 febbraio 2013

Viale Romagna

Cammino nella notte, sono sul ciglio di una strada sconosciuta e senza occhiali non riesco a leggere il nome della via. Piove anche e io ho le scarpe giuste, nere, scamosciate. Io ho sempre le scarpe giuste... Penso.
Ho voglia di birra e sento freddo ai piedi. E' una cosa che odio, meno dei brufoli, più delle zanzare. No. Peggio delle zanzare non c'è niente. Quindi non dovrei lamentarmi. In fondo si tratta solo di trovare un cazzo di viale gigante, girare a sinistra e trovare Tommy.
Non si chiama Tommy, ma ha i capelli dello stesso colore insolito. Sono astigmatica, non daltonica, posso farcela anche in un locale affollato.

Ho sempre l'ansia di entrare in un posto nuovo con tante persone, fossero anche tutte mie amiche. Ho l'ansia. Ma forte. Passa subito, ma all'inizio ho la netta sensazione di essere una scimmia in gabbia con tutti che cercano di punzecchiarmi con un bastoncino per farmi fare le smorfie. Passano cinque minuti e divento fastidiosa quanto tutti loro, parte integrante del sistema sociale convenzionale noioso gerarchico e irremovibile.

Mi fermo un minuto a chiedere informazioni a un autista di taxi. Mi dice che viale Romagna è un po' meno in culo di dove sono finita io, in poche parole. Sospiro e torno sui miei passi, anche se quello che mi circonda ha cambiato faccia. Sarà la luce, penso. In quelle poche parole non ho idea di dove sono e mi domando se Tommy si sia accorto che ci sto mettendo un po' troppo... E io che volevo solo abbracciarlo, bermi una birra e osservarlo affaccendato nella cosa più scontata e impossibile, per me, di questo mondo. 

Mi piacciono gli uomini presi dalle loro cose. E' incredibile la loro capacità di passare dai gesti grezzissimi alla delicatezza estrema verso i dettagli che li appassionano. La loro sensibilità è disarmante. 
Ancora una volta penso che le fotografe costruiscono le situazioni perfette, i fotografi catturano quelle che reputano situazioni perfette.
E' la spontaneità completamente incondizionata degli uomini che mi affascina. Le donne non ce l'avranno mai, sono delle zoccole competitive. Ma voglio bene anche a loro.

Non ho amiche.

Il paesaggio sembra diventare familiare e poi qui ci sono i binari, da qualche parte porteranno, sono gli stessi che ho percorso per andare da Cristina nel pomeriggio, che cazzo. Eppure quando sono andata verso il pub con Tommy, i binari non c'erano, cazzo. Dove sono? Un incrocio! Un incrocio grande, buon segno! Sento voci, un sacco di voci, mi giro e... il pub! Che cazzo di giro ho fatto per trovarmelo alle spalle? 
Se non faccio le cose a modo mio e non mi perdo come una cretina, per le strade o nella vita, non imparo, non mi oriento.

Mi passa per l'anticamera del cervello, veloce quanto un proiettile nel deserto mattutino, il ricordo di Nero, il cane di mia nonna! Mi seguiva sempre per la campagna quando mi avventuravo in viottoli nuovi e sterrati. Che cazzo dico... Ex Unione Sovietica, tuttora non ci sono strade asfaltate in quella zona. Era figo dirlo, come a sottolineare il passare del tempo, il fatto che le cose non torneranno come prima. Non è vero, quei luoghi NON CAMBIANO. Come il Canyon. Come l'Hotel Kazakhstan. Come il fiume che scorre nel punto esatto in cui la steppa cede il posto alla montagna.
Io ho attraversato il deserto!!! Milano non mi fa paura. Viale Romagna è uno sputo in confronto ai monti Kazaki, il pub affollato in cui lavora Tommy è niente paragonato alla tavola calda più economica di Almaty.

Ho l'ansia lo stesso.


E Nero mi seguiva, come un'ombra, silenzioso. Faceva pipì su ogni albero e io mi sentivo al sicuro, almeno lui era stato saggio a ricordarsi la via di ritorno. 
Tutto sommato anche ora è così. Io vado avanti, non mi volto e poi qualcuno mi strattona dicendo "hey, ma ce la fai? e se sbagli?".
Non c'è più Nero ed è come se non fosse mai esistito, è come se fosse un cane di cui ho letto in un qualche magico romanzo. E io mi fidavo solo di lui.
Si va avanti lo stesso.

Il pub è chiuso e noi siamo qui dentro. Io rido, perché sono ubriaca naturalmente, ma allo stesso tempo penso che non voglio tornare a casa, è un posto che conosco troppo bene, dove non faccio entrare nessuno e dove evito determinati contatti fastidiosi precludendomi ogni possibilità di crescita.
E' giusto dormire separati, ma è bello bere con gli amici.

Per un paio di sere è stato come averne. Questo basta.

Per il resto ho il mio deserto e nessuno me lo porterà mai via.



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