giovedì 31 maggio 2012

L'inizio

Mi ricordo appena mi sono trasferita in questa magica città.
Era tutto così pieno di aspettative e la notte pareva così viva, respirava persino.
E io ero avida di ogni sensazione, di ogni sapore, degli odori, di quello che Firenze mi poteva offrire. 
Come disse Andrea "hai posato le valigie, ti sei presentata e arrivederci", o qualcosa del genere. Per dire che appena arrivata mi sono creata i miei contatti, sono nate nuove amicizie, amori, stragi e, ahimè, abitudini.

Il caffè la mattina (le 2 p.m. circa), le notifiche su fb, l'Arno, le Cascine, soliti locali, solita gente, solita musica, solite vie, solito tanfo di fogna che non ti fa mai sentire solo.
E le compagnie sbagliate e le gelosie immotivate e la mia presenza che sembrava essere sempre più un problema, come mi allontanavo invece mi dovevo abituare all'idea di essere asociale, anche se, che cazzo, non lo sono.
Quanto si sentiranno acute le persone nel riuscire a dare una definizione alla superficie, ad ogni avvenimento, a qualsiasi tipo di comportamento? Senza conoscerne i dettagli, senza scavare un minimo e io penso... se non hai voglia di indagare, non hai il diritto di dare il titolo a quello che vedi. O meglio, puoi, ma stai zitto.

Io amo la gente, ma una persona per volta e solo se possiamo raccontarci cose interessanti, se possiamo piacerci, consumarci e poi rigenerarci per il desiderio di ricominciare daccapo. Non sto dicendo che snobbo la gente, che reputo una persona migliore dell'altra; quello che sto cercando di dire è che cerco i caratteri a me più affini. Perché perdere tempo? (Non mi si venga a dire "sì ma non ti puoi basare sulla prima impressione, le persone riserbano delle sorprese", sì, negative).

Mio padre diceva sempre, insieme ad un sacco di altri uomini saggi, che l'intuito è qualcosa che non fallisce mai.

Io amo Firenze e le sue case segrete che mi sono state svelate in questi due anni. Non so, hai presente quando sei in un appartamento, guardi fuori dalla finestra e pensi "caspita, ci sono passato mille volte". E' veramente strano, perché ogni angolo di questa città ospita la possibilità di conoscere qualcuno di incredibile e io sono sempre ben disposta verso questa possibilità, è solo che per non farmi inculare così a gratis odio tutti a prescindere e poi cambio idea e chiedo scusa. Per farmi perdonare racconto sempre un sacco di cose, per far capire che non ho nulla da nascondere, che sono trasparente, che non c'è nemmeno una goccia di quel mistero che mi è stato appioppato così, perché era la cosa più semplice da fare.
Sul mio viso c'è scritto tutto, soprattutto prima del caffè, la mattina. La sera riesco a fingere meglio. Sì, perché come dicevo ad A. in un qualche post precedente, ormai cerco di portare questo ruolo con dignità, sono sempre in tempo a levarmi la maschera di fronte a chi non mi giudica.

Se mi levassero dalle strade le americane ubriache con le infradito dai colori più improbabili, sarei felice, tutto sommato, anche di fare le solite cose in centro. L. dice sempre "è per stare insieme, è per gli amici". E ha ragione. Ma io ho pochi amici, pochissimi e delle conoscenze da birra posso fare a meno, sacrifico questi grandi ed inutili rapporti per dedicarmi ad altro. Alla musica per esempio, o alla lettura, o a alla chiacchierata su skype con una persona lontana, ma dalla compagnia tanto, tanto piacevole.

Ho capito anche, e mi faccio un applauso da sola in segno di disprezzo, che non è Firenze. Sono io. Non importa dove andrò, ci saranno sempre le abitudini, gli stronzi, le case, i lampioni, i cocktail, le passeggiate, i pensieri e, spero, gli amici.
E poi ci sarà il mio silenzio. Se solo potessi condividerne un piccolo pezzo, le persone capirebbero, mi correggo, le persone a cui tengo capirebbero che racchiude infinite cose positive, riguardo a loro, al mondo, all'intero universo. Perché quando faccio la mia tipica espressione grave è perché mi rendo conto che là fuori ci sia qualcosa di grande, più grande di me, di te, e che a starcene qui perdiamo il nostro tempo... ma è un modo decisamente meraviglioso di perdere il proprio tempo.

Firenze è meravigliosa. E' la mia vita qui ad essere diventata noiosa.


mercoledì 30 maggio 2012

Il tempo

Mi sto cancellando da facebook.
Sono arrivata ad un punto da averne paura, da esserne ossessionata. Suona un po' ridicolo forse, dopotutto è solo un social network, giusto? No. E' uno strumento potentissimo e se usato nel modo giusto a tratti può rivelarsi quasi vitale.
Tutta questa importanza data a un sito mi spaventa.
E' vero, ci sono tante impostazioni sulla privacy, puoi nascondere le tue cose persino a Dio, o semplicemente puoi non scrivere ogni singola cazzata che ti passa per la testa.
Che poi disse giustamente Elena, non c'è scritto "cosa fai" o "dove sei", ma "cosa pensi?". Ci avete fatto caso?


Dall'altra parte, usato nel modo sbagliato genera cataclismi sociali ed emotivi. Nascono litigi immotivati tra persone che nemmeno si conoscono, le persone che si amano si ammalano di un'inspiegabile gelosia per via di una serie di collegamenti tra persone e di questo modo di comunicare veloce, istantaneo e facilmente fraintendibile, soprattutto perché pubblico. E alla gente "PIACE" scrivere pubblicamente, che si tratti di uno stato d'animo, o che si voglia organizzare una serata tra amici.
Alla gente piace far vedere la propria vita e se possibile nei minimi dettagli, attraverso i link dei posti frequentati, attraverso le foto, le tag, gli eventi e così via.


Anche nel campo lavorativo promuovere la propria immagine non si ferma più a un livello professionale, ma entra nella vita privata, tutto questo perché l'utente lo permette, perché vuole farlo, perché non si rende conto del livello della violazione della propria privacy.
So dove abitano i fotografi con cui lavoro, so che posti frequentano, so che viso hanno i loro figli, riconosco le loro mogli al supermercato, so che aspetto ha la loro scrivania e se seguo il loro profilo per una giornata intera posso dire con esattezza a che ora si alzano, a che ora e dove pranzano, dove hanno intenzione di andare a cena e so anche che nel loro frigorifero è rimasta solo una birra stappata che loro berranno col gatto a fianco.
So quanto sia ricca o meno l'attività sessuale dei miei amici, so se hanno passato la notte a casa o dalla fidanzata (o dall'amante e in quei casi devo anche fare finta di nulla).
So quanto duri in media la vacanza di ogni singolo contatto su fb, so quante volte portano fuori a passeggio il cane, so cosa hanno apprezzato di un posto, so cosa hanno disprezzato a lavoro, conosco il loro colore preferito, potrei recitare a menadito i loro pezzi musicali preferiti.


E tutto questo non è facebook, siamo noi. Mi ci metto anche io ed è per questo che mi sto cancellando, perché mi rendo conto di questo morbo che cresce, di questo desiderio di scrivere i cazzi miei su una bacheca virtuale, lasciando cani e porci commentare qualcosa che solo certe persone dovrebbero sapere.
Pensavo fb mi fosse utile per lavoro, per promuovere le mie foto, la mia attività di modella, ma poi mi sono resa conto che le mie immagini sono apprezzate anche fuori da quel buco, che c'è gente che non sente la necessità di criticare ogni singola cosa come se fosse pagata per farlo.
Molti di quelli che si spacciano per fotografi non mi hanno mai proposto di scattare, non ho mai preso in considerazione la possibilità di collaborare con loro, allora perché sono tra i miei contatti? Perché vedono le mie foto? Perché soprattutto si sentono in diritto di commentare i miei pensieri rivolti naturalmente alle persone che mi conoscono?
Ma basta. Basta. Davvero basta.


Mi devo levare da lì, devo mantenere i rapporti reali e SANI con le persone vere, con le persone realmente interessate a quello che penso, o a cosa faccio nella vita.


Poi magari mi evito i ladri in casa per una volta che scrivo "sto via una settimana, lascio il cane da mia nonna" [tratto da una storia vera]. Beh, no, a livelli di idiozia simile non sono mai arrivata, ma non ho intenzione di rincoglionirmi su quel sito ancora e ancora e ancora.


Chi mi ama mi "segua".


Che ansia.


Basta.





lunedì 28 maggio 2012

Dormire

Quanto vorrei dormire, ma non lo faccio, un po' perché non ho sonno, un po' perché è un periodaccio e quindi non capisco quand'è che ne ho bisogno e quand'è che invece diventa una scusa per non pensare.


O forse dopo tanto tempo mi piacerebbe dormire con qualcuno, ma non tutta quella roba appiccicosa in cui ci si abbraccia, in cui si intreccia ogni cosa e finisci per non respirare, o urlare nel cuore della notte perché un gomito ti è finito sui capelli. Una presenza potrebbe essere sufficiente, un corpo caldo da qualche parte nel letto e se allunghi il braccio puoi sentire una schiena, o un fianco, o ficcare il dito nell'occhio del tuo compagno così, perché sai che non si arrabbia, sono cose che succedono quando ci si cerca nel sonno. 
Non è niente di invadente, cercarsi quando si ha il piacere di trovarsi.


Sono POCHISSIME le persone con cui io sia riuscita a dormire bene. Sono persone con cui potrei infilarmi nel letto in questo istante e addormentarmi senza troppi pensieri, con gli odori giusti nella stanza. Sì ecco, gli odori, si legano tra di loro e ne creano uno nuovo che può essere piacevole o meno. Io riesco a capirlo quando esco dalla camera per andare in bagno e poi rientro. E non parlo dell'odore della persona con cui sto dormendo, sto parlando del nostro odore.
Che figata... sognare.


Sembrerà melenso, ma mi piace anche molto parlare prima di addormentarmi, toccare l'altra persona mentre lo faccio, con disinvoltura e senza insistere, come a raggiungere una dimensione parallela in cui la pelle pensa ai cavoli suoi e arriva ad uno stadio di benessere tutto suo. Sono momenti in cui non ci guardiamo negli occhi, ma vaghiamo ciascuno in un mondo a parte in cui arriva quest'eco di una voce familiare. 


Non amo parlare appena sveglia. Proprio non riesco e odio chi lo fa, ancora più se su toni elevati. Dai, il mio cervello si sta svegliando, non ho voglia di vivere, figurati se riesco a capire cosa cazzo mi stai dicendo. Niente è importante prima del caffè... o più del caffè.
Non è che ti odio, odio tutti. Non è che mi pento di aver dormito con te, solo non ti voglio sentire, né voglio farmi sentire io. Oh dio, se continui a parlarmi in faccia, forse un po' mi pento.
Quanto è bello il silenzio? Gli uccellini, le macchine in lontananza, l'ambulanza, il fruttivendolo e le sue clienti sorde, la figlia della vicina col flauto dolce, il gatto che reclama il suo cibo, la mia coinquilina che si sveglia prima di me (perché saggiamente di notte dorme), il telefono che squilla... Ti ci vuoi mettere anche tu? 


Però mi ricordo una stanza silenziosa, semi buia, c'è caldo ma il vento si infiltra attraverso le persiane e tu sei girato verso di me, assonnato ma sorridente per un attimo. Io uguale. Non ci sfioriamo nemmeno, ci guardiamo e basta e non diciamo una parola. No, una parola viene quasi sussurrata e veloce percorre tutte il mio corpo senza doverlo necessariamente preparare ad una risposta: "caffè?"


Non è che un grande amore svanisce nel niente. Rimane lì, in solitudine, nel silenzio di una mattina come tante altre.





domenica 27 maggio 2012

Sapori

Ho ancora in bocca il sapore di erba cipollina. E' molto strano che non mi dia fastidio, solitamente mi piace sentire, che ne so, la fragola, l'albicocca, il caffè, la menta...
E invece sono qui che mi passo la lingua sui denti e penso all'astice che ho mangiato per cena. Ho usato le mani, ho infilato le dita dove ho potuto per tirare fuori quei piccoli e fragili pezzetti bianchi che poi si sono sciolti sulla lingua. Dio mio quanto ho goduto. Mi si sono anche creati degli impercettibili taglietti sulle labbra al contatto col guscio e ci è andato il sale, un male cane!
Poi il pepe è rimasto sui polpastrelli e non ho resistito al desiderio di regredire alla fase orale, nel bel mezzo del ristorante. 


Mi piace impegnarmi nel mangiare, devo mangiare di gusto qualsiasi cosa, altrimenti preferisco stare a digiuno. Mi piace dovermi impegnare per poter assaporare, ho amato la mia sventurata (perché morta sacrificata) cena, ho amato la possibilità di potermici dedicare così minuziosamente prima di ogni boccone. Un po' come spogliare qualcuno che ti piace, qualcuno di cui il sapore ti interessa.
Effettivamente ora capisco perché certi uomini mi hanno fatto godere di più e altri meno. 


Chi non mangia di gusto non può essere bravo a letto.
A volte osservo le persone masticare, addentare, "assaporare" per l'appunto e capisco infinite cose. Forse la cucina è solo un'estensione della camera da letto.
Non dico di avere ragione, parlo per me, ma io non posso baciare una persona che preleva il boccone coi denti serrati sulla forchetta, con la stessa espressione di una bidella che pulisce i bagni l'ultimo giorno di scuola.


Forse suona un po' sinistra questa associazione tra cibo e sesso, ma mentre mangiavo mi è venuto in mente lo spezzone di un film giapponese di cui non conosco il titolo. C'era questo uomo che mangiava le ostriche direttamente in riva al mare, per sbaglio si tagliava il labbro con la conchiglia e mi pareva di vedere quel sangue commestibile, qualcosa di perfetto in quella situazione di piacere.
Era tutto così puro e naturale e romantico.
Poi ho pensato a Ferreri e alla sua Grande Abbuffata. Quello sì che era malato. Lì non facevano l'amore con il sapore, lì mangiavano e scopavano. Che pesantezza.


Per me è molto bello anche mangiare dopo aver fatto l'amore, o fumare ok, ma mangiare è proprio la pace dei sensi. Non sto cercando di unire le due cose, non mi piace fare giochetti erotici col cibo, mi piace tenere le cose ben separate, ma con un'indole molto simile.


Quindi, oltre alla pigrizia, il mio peccato ideale è la gola... 




Grazie per aver letto,


la vostra modella frustrata.





Usa e getta

"Sei arrabbiata con me".
No. Allora. Per me non vale la pena arrabbiarsi, non perché la persona non valga i miei sforzi, ma perché sostanzialmente si sprecano solo energie senza risolvere niente. Ci si calma, un briciolo di calma, bisogna ragionare, respirare e guardarsi intorno. Anche se ammetterò che a volte farsi accecare da tutto questo male è piacevole, è come se per un attimo io non fossi più padrona del mio corpo, è come se i miei muscoli in tensione fossero il conduttore perfetto per qualcosa che dentro non può più stare. E' come piangere, ma più incanalato, a tratti quasi sensato.


Una volta nella vita mi sono arrabbiata con qualcuno che non fosse mio padre, che poi... con mio padre non ho mai sfogato niente.
Ero in questa sala prove improvvisata con quelli che all'epoca erano veramente miei amici. Me lo ricordo bene perché è l'anno in cui ho preso un ragno in mano e ho smesso di avere una paura folle di queste creaturine.
E c'eri tu, piegato sulla chitarra con la testa reclinata in avanti, come se solo il tuo strumento potesse capirti. Sembravi così afflitto, o deluso, o carico di una qualche energia a me incomprensibile. Io non ho mai parlato su toni così alti, mai, non ho mai detto quelle cose a nessuno, non ho mai avuto dimostrazioni di isteria in pubblico come quella volta! Sarà che davanti ai nostri amici andava bene così, sarà che ero innamorata e spaventata anche io, ma non avevo la testa per realizzarlo. Tanto poi passo da stronza epica in ogni caso e, senza alcuna commiserazione, ho imparato a interpretare questo ruolo con dignità, non per accontentare quelli che vogliono necessariamente appiopparmi un'etichetta, ma così... per proteggermi. E' bello sorridere di fronte a qualcuno che SA che è tutto finto, davanti a qualcuno che ti conosce e che può spezzare quel sorriso in un attimo e farti sentire uno schifo. E' bello fidarsi di qualcuno che può farti toccare il fondo per poi tenderti la mano.
Almeno... io l'ho sempre trovato meraviglioso, soffrire per uno scopo, soffrire per crescere, soffrire per esorcizzarsi. 


Poi ogni tanto nel corso della mia vita ti rincontro e penso a queste cose e non riesco a non visualizzare nella mia mente quel cavolo di momento di sclero. Sembra la scena di un film drammatico, anche se col senno di poi mi viene quasi da ridere, non avevo nemmeno spento il microfono. E loro due in silenzio, con lui che ti guardava preoccupato. Dai, eravamo amici, eravamo tutti preoccupati.


Vorrei che tu sapessi che non ti ho usato, che non ho mai usato nessuno e che se sono scappata è perché probabilmente non sono poi tanto differente dalle tipe che solitamente infami. Poi c'è da dire che a 18 anni non capiamo una sega. Non che fosse poi tanto tempo fa, ma sembra essere passato un secolo.
Vorrei anche avere la certezza che non mi abbia usato tu, oppure no? Ma che importa. Ti voglio bene.


Oggi non ho ancora fumato.
Sto malissimo! Questo per dimostrarti che conti nella mia vita, anche se non ci sei, anche se non ci sono.






sabato 26 maggio 2012

Firenze Lugano, andata e ritorno

E' sabato 19 maggio 2012 e Nicola Casini mi sta scattando una polaroid per il suo progetto "Shoot me", io ho una sigaretta nella mano destra e un cartello in cui ho scarabocchiato una roba con l'organizzazione degli spazi tutta mia.
Mentre sto immobile e assonnata con il sole in faccia, penso che devo ancora fare la valigia. Faccio sempre la valigia poche ore prima di partire, questo è perché sono indecisa e cambio idea mille volte nei momenti meno indicati.
Saluto Nicola e decido che mi porterò dietro tante mutande e calzini, per il resto può bastare un cambio solo, dopotutto basta lavarsi.

Salgo sul treno, è puntuale e io ho il posto prenotato, anche se un tipo abbastanza maleducato ed inutile mi guarda storto dal mio sedile, sporco (il sedile, non il tipo), azzardando con un accento del Sud Italia qualcosa come "ah, questo è tuo?" "si, è mio" rispondo io fiera e già col giramento di cazzo.
Insomma il ragazzo si sistema in corridoio, la sua fidanza mi guarda con quell'aria superiore dal sedile di fronte alla mia destra. "Amò, mi passi l'iapadde?" e si mette a giocare a Fuirt Ninja, incrociando le sue bellissime gambe da mucca avvolte da una minigonna imbarazzante. A dire il vero, è tutta imbarazzante, ma chi sono io per giudicare? 
Comincia il viaggio della speranza.
Io leggo, ma alla stazione di Bologna salgono figlio e mamma inglesi e non resisto alla tentazione di spararmi nelle orecchie della musica violenta a volume indiscreto, giusto prima di sentire "Bloody Hell!!! This station is pretty ugly", "Welcome to Italy", penso e provo a dormire.
Quando riapro gli occhi mi trovo di fronte un cinese che mi fissa, tolgo le cuffie e lo fisso con disappunto, allora lui riprende a leggere la sua guida all'Italia (che presto abbandona per accavallare le gambe e continuare a fissarmi).

Siamo a Milano! Posso uscire dal treno e dimenticarmi gli odori e i rumori che mi hanno accompagnato per tutto il viaggio. Dopotutto mi aspetta il treno per Lugano. Idiota. Non ho pensato al fatto che sono sempre in Italia e che il treno che mi porterà in Svizzera è italiano, che è di Trenitalia per la precisione.
Entro dunque, trovo il mio posto e scopro che è inondato di una bevanda giallina e non ben identificata. Che cazzo. Mi siedo nel sedile a fianco, ma naturalmente nel giro di cinque minuti il treno si riempie di tedeschi e io devo trovare una soluzione per non sporcare il mio bellissimo e pulitissimo culo. Sacrifico una sciarpa vecchia che penso di aver pagato non più di cinque euro.
Un uomo e una donna, una coppia, mi calpestano i piedi tre volte a testa, giusto perché ho le scarpe di camoscio, io guardo male loro e quel terribile cappello peloso che sbuca dalla borsa di lei.
Di nuovo sono salva grazie all'ipod, quasi mi addormento, ma quando apro un occhio per controllare la fermata trovo quel terribile cappello peloso a fissarmi con due occhi tondi e sporchi. Va bene, è un cane tascabile, con addosso un agghiacciante cappottino rosa, con un fiocco in fronte e un'aria così triste da fare pena perfino a me, che odio i cani tascabili.

Lugano! Con dieci minuti di ritardo, ma meglio tardi che mai.
Esco dalla stazione, cerco un posacenere ma trovo Giulia, una gentilissima ragazza che mi vestirà per il photoset di domani. Giulia è la speranza, il primo viso carino e pulito che incontro da quando sono partita.
Ci avviamo a prendere l'autobus, facciamo il biglietto alla macchinetta, presente a ogni fermata e il ricordo del cane tascabile comincia a sbiadirsi nella mia mente.
Raggungiamo Salvo in piazza e io mi guardo intorno. E' in corso un festival per giovani! Non ci crederete mai, ci sono veramente i giovani ovunque, in piazza, sul palco, a fare le foto per conto del comune e sono tutti belli, o per lo meno, più belli della mucca sul treno Firenze-Milano. Praticamente è un evento organizzato dal comune di Lugano per invogliare i giovani a uscire di casa, a fare vedere cosa sanno fare a livello musicale ed è completamente gratis!
Io sono sotto shock. Vedo vicino ad una ringhiera una cassa di birra, appartiene naturalmente a qualcuno e, sorpresa delle sorprese, nessun altro tenta di rubarla.
Vedo, tra infiniti giovani con ai piedi qualcosa che non mi ricorda né le ballerine né le scarpe da ginnastica all'ultima moda, una lattina di coca e mi sento male. Solitaria lattina che riflette le luci del palco e sembra quasi che pianga, viene voglia di raccoglierla, di accudirla e di affidarla a un signor cassonetto. 
Finiti i concerti io crollo, troppi giovani tutti insieme, così Giulia mi accompagna a casa. Torniamo col "Nottambus", servizio attivo fino alle 2:30 di mattina, che però non comprende abbonamenti o biglietti regolari, perché paghi quando sei sopra, perché è un extra. Qualcuno si lamenta e io penso che preferisco sto stronzo così, malcontento, piuttosto che morto schiantato contro un muro.

Vi evito la parte dello shooting del giorno dopo, perché mi rendo conto che leggere COSì TANTO e tutto insieme è faticoso, magari farò un altro post in seguito, perché stranamente più il ritmo nella scrittura è scandito più diventa di facile lettura. Mi dispiace di non avere voglia di accompagnare il mio resoconto con una valanga di foto, ma per quello potete sempre andare nel reparto "reportage fotografici" in libreria, o alla peggio in quello 0-12, hanno persino quei libri in cartone riciclato con il servo che potete far muovere per mettere la scarpetta a Cenerentola.

In quanto al mio ritorno. Beh. Ho il piacere di viaggiare fino a Milano con un treno svizzero, pulito, puntuale, con finestre giganti ed una gentile voce registrata che annuncia le fermate.
Guardo fuori e penso al giorno precedente, a tutte le cose che Salvo, Giulia, Romina e Dario mi hanno raccontato, mi rendo conto che da qualche parte fuori dall'Italia vale la pena di sbattersi per le proprie passioni, che si può fare il lavoro che si ama e che si può essere pagati offrendo arte.
Penso all'intervista che devo fare ad un giovane fotografo italiano per una rivista STRANIERA, perdio. Ci sono così tante menti brillanti qui, perché lo Stato non ne fa tesoro?
Se si continua così l'Italia affonderà con sulla nave soltanto il poco convinto capitano, i passeggeri piuttosto che marcire negli abissi rischieranno la fuga a nuoto.